Gennaio 2015

Considerazioni biomeccaniche per il restauro dei denti trattati endodonticamente: revisione sistematica della letteratura – I parte. Composizione e alterazioni micro e macrostrutturali

Didier Dietschi DMD,PhD, PD1/Olivier Duc, DMD2/ Ivo Krejci, DMD, PD3/Avishai Sadan, DMD4

 

Le specifiche alterazioni biomeccaniche correlate alla perdita della vitalità o alle procedure endodontiche sono temi confusi per il professionista e sono stati affrontati in modo controverso dal punto di vista clinico. L’obiettivo della I parte di questa revisione della letteratura è presentare una panoramica delle attuali conoscenze in merito a modifiche in composizione, alterazioni strutturali e di stato conseguenti al trattamento endodontico ed alle procedure restaurative. Il processo di ricerca base ha incluso la revisione sistematica del database PubMed/Medline tra il 1990 e il 2005, utilizzando parole chiave singole o combinate al fine di ottenere l’elenco di riferimenti bibliografici più completo; la lettura di riferimenti bibliografici da fonti rilevanti ha completato la revisione. Sono riportate solo trascurabili alterazioni dell’umidità e composizione tissutali attribuibili alla perdita di vitalità o alla terapia endodontica. La perdita di vitalità seguita da una corretta terapia endodontica si è dimostrata in grado di condizionare il comportamento biomeccanico solo in misura ridotta.

Al contrario, la resistenza del dente si riduce in proporzione alla perdita di tessuto coronale, riconducibile alla lesione cariosa e alle procedure restaurative.  Pertanto, il miglior approccio attuale nel restauro dei denti trattati endodonticamente sembra essere: (1) minimizzare il sacrificio tissutale, specialmente nell’area cervicale così che risulti realizzabile un effetto ferula, (2) utilizzare procedure adesive sia a livello radicolare sia coronale per rinforzare la struttura dentale residua ed ottimizzare la stabilità e la ritenzione del restauro, ed (3) utilizzare perni e materiali per la ricostruzione del core con proprietà fisiche simili alla dentina naturale, a causa dei limiti delle attuali procedure adesive. (Quintessence Int 2007;38:733-743)

 

Parole chiave: endodontic therapy, nonvital tooth, post and core, tooth biomechanics, tooth strength

 

I fallimenti biomeccanici dei denti trattati endodonticamente e ricostruiti  sono ancora oggi un argomento critico nell’odontoiatria restaurativa e protesica.1

Escluse le complicanze endodontiche e protesiche pure, tali insuccessi includono l’infiltrazione, lesioni cariose ricorrenti, soluzioni di continuità e fratture della radice. In un caso simile si renderà necessario il rifacimento del restauro, come minimo, o l’estrazione del dente. Le decisioni del clinico in merito alla selezione dei materiali e delle tecniche restaurative sono rese difficili dalla varietà di opzioni disponibili; infatti ormai ogni materiale dentale è stato a lungo utilizzato nel restauro dei denti trattati endodonticamente, impiegando tecniche sia dirette sia indirette. Inoltre la relativa letteratura evidenzia la mancanza di standard clinici e di un consensus riguardo alla procedura ottimale di restauro dei denti non vitali.2,3

Effettivamente la varietà di scelta dei metodi di valutazione porta a conclusioni controverse, principalmente perché i protocolli di valutazione solitamente indagano solo un aspetto del comportamento del restauro o sono di scarsa qualità metodologica.4 In questo campo, come in molti altri in odontoiatria, si rende necessaria una revisione sistematica della letteratura esistente al fine di aiutare il professionista nell’elaborare piani di trattamento basati su evidence scientifica. 5,6

L’obiettivo della prima parte di questa revisione è mettere in risalto la composizione e le alterazioni strutturali risultanti dalla perdita della vitalità pulpare, dalle procedure endodontiche e dalle diverse procedure restaurative; i risultati combinati e le conclusioni degli studi in vitro più rilevanti porteranno alle raccomandazioni di base per la selezione dei materiali e la riabilitazione del dente trattato endodonticamente.

 

METODOLOGIA DELLA REVISIONE

 

La strategia di ricerca ha incluso una revisione del database PubMed/Medline  per riviste odontoiatriche attraverso l’utilizzo delle seguenti parole chiave primarie: nonvital tooth/teeth, endodontically treated tooth/teeth, pulpless tooth/teeth, posts and cores, foundation restoration, endocrowns, e radicular dentin. Queste parole chiave semplici sono state usate da sole o in combinazione con parole chiave secondarie: literature review, resistance to fracture, adhesion, cyclic loading, fatigue, e finite element analysis. La revisione sistematica comprende la letteratura dal 1990 al 2005. La lettura della bibliografia dei lavori rilevanti (bibliografia della bibliografia) ha completato la revisione. Alcuni riferimenti bibliografici un pò più datati sono stati estratti dal database della letteratura degli autori e deliberatamente inclusi in questa revisione. I reports e le conclusioni di studi selezionati sono stati classificati ed analizzati in accordo a parametri o ipotesi indagate:

 

  • Composizione della dentina
  • Caratteristiche fisiche della dentina e del materiale da restauro
  • Resistenza alla frattura, rigidità del dente e altri test meccanici monotoni
  • Simulazione di condizioni di stress usando studi fotoelastici ed analisi agli elementi finiti

 

 

MODIFICHE BIOMECCANICHE CONSEGUENTI ALLA PERDITA DELLA VITALITA’ PULPARE O AL TRATTAMENTO ENDODONTICO

           

I cambiamenti nel comportamento biomeccanico del dente in seguito a terapia endodontica possono essere attribuiti a cambiamenti che avvengono a livelli differenti: composizione del tessuto, micro e macrostruttura della dentina, struttura del dente.

 

Composizione del tessuto

 

La perdita di vitalità si accompagna ad una modifica dell’umidità del dente, 7,8 che ha una lieve influenza sul modulo di Young e sul limite proporzionale.9 Tuttavia tale cambiamento del contenuto d’acqua non è associato ad una diminuzione della resistenza a sollecitazioni compressive e tensili.9 La perdita di umidità (9%) è stata attribuita ad una modifica dell’acqua libera, ma non nell’acqua legata.7  Solo uno studio non ha mostrato alcuna differenza in umidità tra denti vitali e non vitali.10 Non è stata peraltro riscontrata alcuna differenza nel cross-linkage delle fibre collagene tra dentina vitale e non vitale.11 Nessun’ altra evidence disponibile di alterazioni chimiche indotte dalla rimozione del tessuto pulpare è stata riscontrata.

L’ipoclorito di sodio ed i chelanti come l’acido etilen-diamino-tetracetico (EDTA), l’acido 1,2cicloesano-diaminotetra-acetico (CDTA) e l’acido etilen-glicol-etere diamino-tetracetico (EGTA), così come l’idrossido di calcio, comunemente utilizzzati per l’irrigazione e la disinfezione canalare, interagiscono con la dentina radicolare, sia con la componente minerale (chelanti) sia con la componente organica (ipoclorito di sodio).12,14

I chelanti riducono la disponibilità di per la formazione del complesso ed interagiscono con le proteine non collageniche, determinando erosione e demineralizzazione della dentina.13,15,16

L’ipoclorito di sodio ha mostrato un’azione proteolitica presumibilmente ricondotta ad una estesa frammentazione delle lunghe catene peptidiche come il collagene.17

 

Caratteristiche fisiche della dentina

 

L’elasticità e la microdurezza della dentina variano tra dentina peritubulare ed intertubulare e risultano anche influenzate dalla localizzazione all’interno del dente (cambiamenti dalla giunzione smalto-dentinale alla dentina mantellare); la dentina peritubulare presenta un modulo di elasticità di 29.8 GPa, mentre la dentina intertubulare varia da valori di 17.7 GPa (in prossimità della polpa) a 21.1 GPa (in prossimità della superficie radicolare).18-20 La diminuzione della durezza secondaria alla rimozione del tessuto pulpare è per lo più o del tutto attribuibile ai cambiamenti in durezza della dentina intertubulare.20,21

Il modulo di elasticità della dentina è stato considerato essere tra 16.5 e 18.5 GPa.22-24 Tuttavia recenti misurazioni del modulo di Young utilizzando un nuovo dispositivo di misurazione dell’imaging ottico hanno fornito valori più bassi (10.4 ± 2.9 Gpa) 25; inoltre la revisione della letteratura di Kinney et al. ha riportato ampie variazioni dei moduli di elasticità della dentina.26 Differenze sono state anche registrate tra le misurazioni del modulo di elasticità statico (8.6 ± 0.86 GPa) e dinamico (14.3 ± 15.8).27

I cambiamenti della densità minerale dovuti alla variazione del numero e del diametro dei tubuli all’interno del dente possono ancora spiegare le variazioni delle proprietà della dentina. Effettivamente Pashley e al.28 hanno riportato un range di valori di durezza per la dentina inversamente correlato alla densità dei tubuli dentinali. Anche misurazioni di ultra-microindentazione  hanno evidenziato valori significativamente più alti di durezza e modulo di elasticità quando le forze erano parallele ai tubuli piuttosto che perpendicolari.29 Sono state riportate differenze nella resistenza massima e nella resistenza alla compressione con variazioni in funzione dell’orientamento dei tubuli.25 La resistenza massima alla tensione della dentina umana è stata valutata mediante analisi  tensile diretta e diametrale.30 Il carico di rottura era il più basso quando la forza tensile era parallela all’orientamento dei tubuli, evidenziando l’influenza della microstruttura della dentina e dell’anisotropia del tessuto. La letteratura, tuttavia, non definisce la possibile influenza della maturazione/invecchiamento del tessuto e della relativa riduzione del numero e del diametro dei tubuli31,32 sulle proprietà fisiche della dentina.

Nessuna o solo lievi differenze sono state registrate nei valori di microdurezza tra dentina vitale e non vitale in denti controlaterali dopo 0.2 - 10 anni.33,34 La letteratura non supporta il credo largamente diffuso che attribuisce alla dentina non vitale particolari debolezza e fragilità. Si crede inoltre che la progressiva riduzione in volume della polpa, sostituita per apposizione da dentina secondaria e terziaria, possa spiegare la perdita di resistenza alla frattura di denti non vitali ‘invecchiati’; anche tale aassunto non risulta supportato, o mai preso in considerazione nella letteratura.

Come precedentemente menzionato, i prodotti utilizzati nell’irrigazione e disinfezione canalare interagiscono con le componenti minerale ed organica, riducendo pertanto in modo significativo il modulo di elasticità della dentina e la resistenza alla flessione35,36 al pari della microdurezza.37-40 Al contrario disinfettanti come l’eugenolo ed il formocresolo aumentano la resistenza alla tensione della dentina attraverso la coagulazione delle proteine e la chelazione con l’idrossiapatite (eugenolo); la durezza, tuttavia, non è risultata influenzata dai suddetti prodotti.41

 

Resistenza alla frattura e rigidezza del dente

 

I cambiamenti maggiori nella biomeccanica del dente sono attribuibili alla perdita di tessuto conseguente a lesione cariosa, frattura o preparazione cavitaria includendo la cavità d’accesso che anticipa il trattamento endodontico. La perdita di struttura dentaria durante la preparazione di una cavità d’accesso conservativa incide sulla rigidezza del dente per solo per il 5%; l’influenza della successiva strumentazione canalare ed otturazione o ha determinato una riduzione della resistenza alla frattura42 o è apparsa avere scarsi effetti sulla biomeccanica del dente.43

Logicamente, la sagomatura dei canali radicolari dovrebbe incidere sulla biomeccanica del dente in misura proporzionale alla quantità di tessuto rimosso e possibilmente anche alle alterazioni chimiche o strutturali innescate dagli irriganti canalari.35-40

La maggiore riduzione della rigidezza del dente risulta da preparazioni addizionali, in particolar modo la perdita delle creste marginali; effettivamente la letteratura riporta una riduzione dal 14% al 44% e dal 20% al 63% della rigidezza del dente in seguito a preparazioni di cavità occlusali e mesio-occlusodistali (MOD) rispettivamente43-45 . L’influenza della struttura residua sulla rigidezza e la deformazione sotto stress dei denti trattati endodonticamente è stata ulteriormente indagata 46,47; è stato evidenziato come una cavità di accesso endodontica combinata con una preparazione MOD si traduca in una fragilità del dente massimale. La profondità della cavità, l’ampiezza degli istmi e la configurazione sono quindi fattori molto critici nel determinare la riduzione della rigidezza del dente ed il rischio di frattura50,51. L’effetto ferula ed una quantità maggiore di tessuto residuo in generale sono stati validati nell’aumentare la resitenza del dente alla frattura 46-49. Realmente, una ferula del valore minimo di 1 mm è considerata essere necessaria per stabilizzare il dente restaurato. La larghezza della spalla della preparazione protesica ed il margine della corona non sembrano influenzare la resistenza alla frattura52 .

 

MATERIALI E TECNICHE DI RESTAURO E LORO INFLUENZA SULLA BIOMECCANICA DEL DENTE

 

Proprietà fisicochimiche dei materiali da restauro

 

I perni presentano moduli di elasticità variabili in relazione alla direzione della forza, nel caso di materiali anisotropi, ossia perni in resina/fibre53 , o si comportano in seguito a direzioni di sollecitazione differenti in modo abbastanza simile a materiali isotropi come metalli e ceramiche22,25,54.

metalli e ceramiche utilizzati per la fabbricazione di perni presentano moduli di elasticità in valore marcatamente al di sopra del modulo di elasticità della dentina (110 GPa per il titanio, 200 GPa per l’acciaio inossidabile, 200 GPa per lo zirconio, 300 GPa per l’ossido di alluminio). Il razionale nell’utilizzo di materiali più rigidi o più resistenti è sempre stato quello di aumentare la resistenza del dente. Al momento, tuttavia, tale concetto è messo in discussione in virtù dei limiti esistenti nelle procedure adesive all’interno del canale radicolare 55-57 o tra perno e cemento composito58. Esistono ampie variazioni in tema di resistenza fisica e all’affaticamento per i perni in fibre/resina59. Il comportamento statico o dinamico dei perni in resina/fibre dipende dalla composizione (tipo di fibra e densità) così come dal processo di fabbricazione e, in particolare, dalla qualità dell’interfaccia resina/fibre. I perni che presuppongono la silanizzazione delle fibre hanno fatto registrare comportamenti considerevolmente migliori quando sottoposti ad affaticamento ciclico59 . In uno studio in vitro che esaminava le proprietà fisiche di perni diversi, si è giunti alla conclusione che il disegno del perno ideale presuppone una porzione coronale cilindrica ed una porzione apicale conica60.

Le proprietà fisiche del materiale del core anche possono influenzare le prestazioni della sovrastruttura protesica61. Tuttavia non vi sono requisiti fisici minimi per i materiali da restauro o i perni da utilizzare nel restauro dell’abutment del dente non vitale; si registra solo una crescente tendenza all’utilizzo di materiali le cui proprietà meccaniche siano prossime a quelle dei tessuti del dente nella realizzazione del perno e del moncone22,62.

 

Resistenza alla frattura, rigidezza del dente ed altri tests meccanici monotoni

 

Con perni moncone fusi, un adattamento preciso aumenta la resistenza alla frattura, ma nel contempo aumenta la severità del danno radicolare, portando potenzialmente all’estrazione del dente63 . Quando vengono utilizzati restauri post-endodontici in amalgama o in oro, la ricopertura delle cuspidi si è dimostrata in grado di aumentare la resistenza alla frattura o la rigidezza del dente.64,65 In assenza di ricopertura cuspidale, i restauri in resina composita con adesione alla dentina ed allo smalto hanno mostrato un comportamento meccanico (resistenza alla frattura e rigidezza) più prossimo al dente integro rispetto a restauri in amalgama64. Tuttavia non è tuttora considerato appropriato restaurare denti trattati endodonticamente con cavità a 2 o 3 superfici, con un approccio conservativo che non preveda la ricopertura cuspidale.43

Una valutazione comparativa della resistenza alla frattura di denti restaurati con perni in zirconia o con perni in fibre/resina ha evidenziato una maggiore resistenza di denti restaurati con perni in fibra; inoltre i denti con perni in ceramica sono andati incontro ad insuccesso principalmente per fratture del perno e della radice 66,67, laddove altri campioni hanno mostrato solo fratture del restauro coronale67.

In un altro studio non sono state evidenziate differenze di resistenza alla frattura per differenti sistemi post and core, ma una maggiore incidenza di fratture radicolari catastrofiche è stata ancora osservata con perni in ceramica68. Newman et al.69 hanno registrato una resistenza alla frattura superiore per denti restaurati con perni in oro rispetto a denti restaurati con perni in fibre/resina; ma allo stesso modo fratture più gravi sono state osservate in denti con perni metallici. I perni paralleli sono apparsi anche più favorevoli per ciò che concerne i patterns di frattura radicolare 63.

Al di sotto di restauri protesici a ricopertura completa, i perni in titanio con core in composito hanno mostrato la più alta resistenza alla frattura, seguiti dai perni in fibre di quarzo e fibre di vetro, con i perni in zirconio associati ai valori di resistenza più bassi 70; ancora una volta però, fallimenti catastrofici sono stati osservati solo quando sono stati utilizzati perni più rigidi, come quelli in metallo e ceramica. È stato evidenziato inoltre come la presenza di una corona e di un effetto ferula attenui l’influenza del materiale del perno 71 .

Test monotoni sono stati disegnati per valutare l’influenza di differenti materiali e combinazioni di materiali e, di differenti tecniche restaurative sulla resistenza del dente ad una sollecitazione massimale; tale approccio simula tipi di fallimento o stress molto specifici, come quelli osservati in seguito ad un trauma, sotto pilastri di protesi removibili o sistemi post and core durante la rimozione di una corona provvisoria. Infatti, molti insuccessi clinici ascrivibili alla frattura del materiale o dei tessuti duri del dente o a separazione dell’interfaccia sono riconducibili a movimenti masticatori fisiologici o a forze parafunzionali quando ripetuti per lunghi periodi di tempo, noto anche come stress per affaticamento 72-75 , descritto nella seconda parte di questa revisione.

 

Simulazione di tensioni occlusali e funzione masticatoria

 

A questo livello,  tentativi sono effettuati per simulare e monitorare, direttamente o indirettamente, lo sviluppo e la distribuzione degli stress funzionali nel sistema dente-restauro utilizzando strumenti tecnici e metodologici differenti.

 

Studi fotoelastici. I perni cementati causano meno stress dei perni filettati76. Il disegno del perno è provato essere anch’esso un fattore influente in studi fotoelastici. I perni cilindro-conici, con filettatura piatta e scanalature, hanno mostrato una distribuzione più favorevole dello stress con frange chiaramente più lievi all’apice, laddove perni semplicemente conici hanno agito come un cuneo sotto un carico crescente 77. In un altro studio, i perni cilindrici hanno mostrato stress apicali più alti in seguito a sollecitazioni con direzioni di carico verticali o inclinate78. Inoltre, quanto maggiore era il diametro del perno tanto maggiore era lo stress generato nella radice79.

In merito all’influenza del build-up coronale, è stato evidenziato che quanto più rigidi sono i materiali da restauro utilizzati per il core, oro fuso versus resina composita, tanto più gli stress vengono contenuti nelle aree coronali, riducendo il carico nella zona apicale.79

Uno studio fotomeccanico che combina frattografia e fotoelasticità ha evidenziato come i piani di concentrazione dello stress del modello fotoelastico coincidano con i piani di frattura di denti trattati endodonticamente restaurati80. Interessante risulta l’osservazione nella dentina più interna di una risposta duttile alla propagazione della frattura, laddove la dentina più esterna si è dimostrata fragile alla propagazione della frattura; questo rilievo è in accordo con la descrizione sopracitata della microstruttura dentinale.

Tuttavia, siccome i modelli fotoelastici non riproducono o simulano le caratteristiche fisiche essenziali dei tessuti dentali e non possono simulare le complesse forze fisicochimiche dell’ambiente orale, essi non rappresentano lo strumento ideale per rappresentare la varietà di interazioni tra restauri e substrato dentale. Questa tecnica è stata progressivamente sostituita dall’analisi agli elementi finiti.

 

Analisi bidimensionale agli elementi finiti

Quando è stato utilizzato un approccio non adesivo (perno moncone fuso in oro), la maggiore concentrazione di stress è stata registrata all’interfaccia perno-dentina, mentre con posts and cores in resina composita rinforzata con fibre, gli stress si sono sviluppati nella regione cervicale e hanno mostrato il picco più basso all’interno della radice, dovuto a una rigidezza simile a quella della dentina naturale81.Al contrario Eskitasciogu et al.66 hanno evidenziato come con post and core in resina composita rinforzata con nastro in fibre  uno stress maggiore risulti trasferirsi alle strutture ossea di sostegno e radicolare, mentre uno stress maggiore risulti accumularsi all’interno di perni moncone metallici. Essi “sorprendentemente” hanno concluso che le sottostrutture metalliche testate hanno potenzialmente un ruolo più protettivo per il dente ed i tessuti circostanti, laddove il test di frattura effettuato nello stesso studio hanno prodotto risultati opposti. In un altro studio82, è stato mostrato come il post and core ha solo un moderato effetto di rinforzo e che un core con un lungo perno a pareti parallele, ma inferiore ai due terzi della lunghezza della radice, distribuisce lo stress ampiamente nel restauro e nella struttura dentaria, traducendosi nel picco di stress più basso. Un perno con ridotto diametro della sezione ha anche ridotto lo stress. Inoltre la direzione del carico ha avuto una influenza maggiore sullo stress rispetto al disegno del dowel space82. I risultati sopracitati suggeriscono che un parametro solo, ovvero il materiale, il disegno del perno, o le dimensioni dello stesso, non possono essere sufficienti per stabilire chiare linee guida cliniche per la selezione della tecnica ideale di restauro del post and core attraverso questa metodologia sperimentale.

 

Analisi tridimensionale agli elementi finiti

Lertchirakarn et al. 83,84 hanno realizzato modelli di radici di incisivi mandibolari in 3 dimensioni e l’analisi agli elementi finiti è stata correlata a misurazioni di deformazione e patterns di frattura di tessuti naturali; essi hanno dimostrato che la curvatura della radice è più influente dell’anatomia trasversa della radice per ciò che concerne pattern di frattura e concentrazione dello stress. Essi hanno riscontrato anche il picco degli stress tensili sulla superficie approssimale in relazione allo spessore della dentina.

Ancora è stato mostrato che il rinforzo del dente risultante dall’utilizzo di perni è abbastanza insignificante, la distribuzione dello stress nella dentina è risultata pressoché identica con o senza un perno85. Pierrisnard et al.86 hanno mostrato che gli stress nella regione cervicale sono ridotti dalla presenza di un perno, soprattutto quelli con alto modulo di elasticità, anche in presenza di dentina coronale residua. Essi hanno anche evidenziato l’importanza dell’effetto ferula nel ridurre gli stress cervicali ed aumentare la resistenza del dente restaurato. Infatti, l’effetto ferula è così importante da annullare praticamente l’influenza dei materiali sottostanti. In un altro studio, di Holmes et al.87, è stato mostrato come il picco delle sollecitazioni tangenziali sulla dentina si localizzi nell’area adiacente al perno nel terzo medio della radice aumentando al diminuire della lunghezza del perno; la lunghezza del perno, tuttavia, non ha influenzato la distribuzione degli stress in flessione e compressione. Gli stress dentinali massimali si sono manifestati nel terzo gengivale della superficie vestibolare della radice.

Altri autori ragionando con un approccio globale all’odontoiatria restaurativa88 hanno suggerito che il materiale da restauro ideale dovrebbe avere un modulo di Young identico alla struttura dentaria. La resina composita sembra essere il materiale ideale per la sostituzione della dentina.

Le semplificazioni dei modelli col metodo degli elementi finiti (FEM), tuttavia, non possono essere evitate. Difatti nella maggior parte degli studi FEM bi- o tridimensionali, la dentina e lo smalto sono rappresentati come substrati isotropi, omogenei e linearmente elastici89-92 a dispetto della loro intrinseca anisotropia (tubuli e prismi) e successive variazioni in microdurezza e comportamento elastico18,91,92 .

In realtà le proprietà elastiche (modulo di Young e Poisson ratios) della dentina peritubulare e intertubulare differiscono considerevolmente93. Tuttavia, questa anisotropia è su scala microscopica, laddove il modello del dente è più macroscopico94; pertanto elaborare un modello di dentina come un continuum isotropico fortunatamente non è totalmente errato. Alcuni studi di analisi agli elementi finiti, tuttavia, han preso in considerazione l’effetto dell’anisotropia dello smalto95,96. Anche il comportamento sotto stress di alcuni materiali da restauro necessita di essere semplificato.96 Anche le interfacce sono assunte essere continue,87,89,97 un assunto non realistico anche per le tecniche adesive.56,98 Solo uno studio ha riportato l’utilizzo di un modello con bonding parziale o assente del core in composito, provando a corrispondere i risultati del FEM con quelli ottenuti attraverso studi di fatica99. Inoltre, gli studi FEM al momento non sono in grado di simulare le dinamiche e la complessità della funzione ciclica masticatoria. Il principale vantaggio delle analisi agli elementi finiti pertanto è quantificare e visualizzare la distribuzione degli stress all’interno del dente restaurato in risposta a precisi livelli e direzioni di sollecitazione, senza l’influenza di variabili correlate a materiali biologici.

 

CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI CLINICHE GUIDATE DALLA RICERCA DI BASE

 

L’impatto della perdita della vitalità appare da moderata a trascurabile per ciò che concerne umidità o proprietà fisiche della dentina quali microdurezza, modulo di elasticità e resistenza alla frattura. Cambiamenti della densità tubulare sono stati riportati, ma dipendono principalmente dal livello della radice considerato (decresce verso l’apice) e dall’età del dente. La preparazione della cavità d’accesso, l’allargamento dei canali durante le procedure endodontiche, l’utilizzo di sostanze chimiche e l’applicazione di un perno, tuttavia, riducono significativamente la resistenza del dente. Infatti la conservazione di tessuto dentario è il problema più critico nella gestione del dente non vitale. Preservare in tutto il dente le strutture intatte ed in special modo preservare e salvaguardare il tessuto cervicale al fine di creare un effetto ferula sono cruciali nell’ottimizzare il comportamento biomeccanico del dente restaurato. In merito alla potenziale adesione alla struttura residua del dente, bisogna considerare l’influenza della terapia endodontica, perché i chelanti, l’ipoclorito di sodio e l’idrossido di calcio compromettono la qualità del substrato dentinale. L’utilizzo di perni non sembra essere obbligatorio nel restauro del dente trattato endodonticamente, a meno che sia chiara una insufficiente ritenzione del core. I perni con caratteristiche fisiche simili a quelle della dentina naturale (perni in fibre/resina) attualmente rappresentano la scelta preferita in quanto posseggono proprietà fisiche più prossime a quelle della dentina rispetto a metalli o ceramiche. Tuttavia, la necessità di realizzare un supporto rigido per proteggere il restauro protesico (ridotta flessione e rischio di decementazione o frattura, specialmente in caso di ceramiche integrali) è stata spessa raccomandata da clinici. L’utilizzo di perni più rigidi (metallici o soprattutto ceramici), tuttavia, rappresenterebbe un beneficio in termini di rigidità del dente e stabilità del restauro protesico, ma solo se  perfetta coesione tra tutti gli elementi fosse assicurata, il che non risulta ancora possibile. Inoltre dal momento che nessun dato o elemento suggerisce che un core in dentina naturale sia inappropriato, l’utilizzo di materiali con proprietà simili alla dentina attualmente rappresenta l’approccio più valido.

In aggiunta alle suddette linee guida decisionali, il clinico non dovrebbe omettere ulteriori ed essenziali informazioni cliniche quali il rischio di carie, le determinanti occlusali (guida canina o di gruppo, tipo di occlusione, overjet e overbite) e la presenza/assenza di parafunzioni, che possono influire in modo marcato sul potenziale biomeccanico e sul rischio di insuccesso del restauro.